Sinner e Musetti, questa differenza è sotto gli occhi di tutti: si è dovuto adeguare.
Nel 2016 aveva già le idee chiarissime. Non aveva il benché minimo dubbio sul fatto che, “da grande”, avrebbe voluto fare ciò che, a quel tempo, faceva Corrado Barazzutti: allenare la Nazionale azzurra di Davis. E Filippo Volandri, come ben sappiamo, non solo ha realizzato quel sogno incredibile, ma ha addirittura traghettato la squadra verso la vittoria di ben due edizioni della nota competizione a squadre. Su quel sogno, insomma, può mettere, oggi, una doppia spunta.
Non poteva certo immaginare, nel momento in cui effettivamente subentrò alla guida dell’Italtennis, quante belle cose avrebbe realizzato insieme a quel gruppo di campioni che sappiamo aver fatto faville. Angelo Binaghi non lo accontentò subito, ma gli propose, come alternativa, di seguire il settore tecnico maschile, che aveva bisogno di una bella “ristrutturazione”. Fu in quel momento che Volandri conobbe i pezzi grossi del vivaio azzurri, quegli stessi atleti che, nel giro di 365 giorni, gli hanno regalato una doppia soddisfazione.
“Si trattava di un incarico più manageriale che tecnico – ha raccontato il capitano a Chi – ma alla fine accettai. Quel settore fu un po’ il nostro vivaio. Ho visto crescere Matteo Berrettini e Lorenzo Sonego, che erano dei ragazzini. Poi sono arrivati Jannik Sinner, Flavio Cobolli, Matteo Arnaldi“. I ragazzi che gli hanno permesso, in soldoni, di diventare uno degli allenatori più apprezzati e stimati del Bel Paese.
Quanti vorrebbero essere al suo posto? Tanti, di sicuro, non fosse altro perché ha l’onore e l’onere di lavorare a stretto giro di boa con alcuni dei tennisti più forti del panorama attuale, primo fra tutti Sinner.
Volandri conosce tutto di loro. Ogni segreto, ogni sfumatura, e sentirlo parlare dei suoi ragazzi ci permette, ogni volta, di scoprire qualcosa di nuovo sul loro conto. Come, ad esempio, che sono tutti incredibilmente diversi l’uno dall’altro e che necessitano, in quanto tali, di approcci assai diversi: “Io adotto una comunicazione diversa a seconda di ciascun giocatore della squadra. Jannik ha bisogno di poche indicazioni, ma super precise; Matteo necessita di una comunicazione un po’ più ampia, Musetti ha bisogno invece di tante, tante parole“.
“Avere iniziato con loro questo lavoro anni fa – ha aggiunto Volandri – mi ha facilitato il compito. Dato che li ho visti giocare dall’età di 17 anni per me non è così strano ritrovarmi in panchina seduto accanto a dei campioni come il numero 1 del mondo, il numero 17, il 35 e così via”.
Questo contenuto è stato modificato 18 Dicembre 2024 14:29
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