Serie A snobbata dagli sceicchi, i motivi per cui il massimo campionato italiano non è ancora stato “esplorato” dai ricchi fondi del Golfo.
I discussi Mondiali qatarioti, al via domenica prossima tra mille polemiche, sono solo la punta dell’iceberg. Nient’altro che gli effetti di una lunga marcia di avvicinamento cominciata in realtà decenni fa. Sì, perché il mondo arabo – e di conseguenza anche l’Islam e la sua cultura – ha iniziato ad esplorare il pianeta calcio ormai da tempo, stringendo con esso un legame sempre più stretto e togliendo il monopolio all’Occidente. Un calcio che, come dimostra la velocissima ascesa verso l’olimpo di due club come Psg e Manchester City, appare ogni anno che passa più dipendente dai cosiddetti petroldollari.
A fare luce sul rapporto tra mondo islamico e il gioco che più appassiona il globo terracqueo c’ha pensato il giornalista Rocco Bellantone con il suo interessante libro inchiesta “Il centravanti e La Mecca: calcio, Islam e petroldollari”, edito da Paesi Edizioni e realizzato in collaborazione con Marco Cochi, Beniamino Franceschini, Stefano Piazza, Marco Spiridigliozzi e Davide Vannucci. Un saggio che spazia dall’oscurantismo dei Talebani agli attentati jihadisti, dalla tratta dei talenti africani agli stadi vietati alle donne in Iran, dall’acquisto di Manchester City e Psg da parte degli sceicchi del Golfo ai discussi Mondiali in Qatar. Tematiche, insomma, attualissime e che meritano un approfondimento.
Colpisce particolarmente un passaggio all’interno del capitolo “Follow the money”, a cura di Stefano Piazza. Ci si chiede quale sia il motivo per cui sempre più spesso i ricchi sceicchi scelgano di investire in Inghilterra, Spagna e Francia, snobbando campionati come la Serie A e la Bundesliga, nonostante siano dei tornei che hanno ben poco da invidiare agli altri in termini di competitività tecnici e fatturati.
“Secondo alcuni esperti del settore – si legge – il calcio italiano non è particolarmente attraente per questioni meramente economiche. A parte la Juventus e da pochi anni l’Udinese, nessun club è infatti proprietario dello stadio in cui gioca. Ma non solo. Il sistema fiscale e contributivo italiano non viene affatto percepito né come virtuoso né, tantomeno, come conveniente. Per gli investitori stranieri a ciò si aggiungono poi i timori, a dire il vero fondati, di dover fronteggiare la mastodontica burocrazia italiana”. Per quanto riguarda la Germania, invece, le motivazioni alla base di questa scelta sarebbero diverse. “Secondo le leggi tedesche nessun investitore privato può detenere più del 49% delle quote di un club calcistico. Una condizione che di fatto ha finora tenuto alla larga dalla Bundesliga i fondi sovrani del Golfo. I quali, a fronte di investimenti multimilionari, pretendono di fare quello in cui sono più bravi: comandare”.
Questo contenuto è stato modificato 17 Novembre 2022 16:57
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