Khaby Lame, ecco cosa ci ha insegnato la storia della nuova star di TikTok, al di là delle ragioni del suo successo e di quanto guadagna.
È stato costretto a reinventarsi da un giorno all’altro, Khaby Lame. E la sua “carriera” di tiktoker è iniziata per scherzo, per gioco, senza troppe aspettative. Ci si è buttato a capofitto dopo aver perso il lavoro a causa della pandemia. Mai pensando, certamente, che il social cinese avrebbe finito col cambiare radicalmente la sua vita. Abbiamo scoperto tantissime cose sul suo conto, grazie all’intervista che Selvaggia Lucarelli ha fatto alla nuova star di TikTok.
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Ora sappiamo che prima di creare quell’account faceva l’operaio, che sogna di fare un film con Checco Zalone, che Mark Zuckerberg gli ha scritto in direct per complimentarsi con lui. Abbiamo scoperto che viene dal Senegal ma che è cresciuto nelle case popolari di Chivasso, che il social network che gli ha regalato il successo, almeno in un primo momento, non lo attraeva minimamente. “Mi sembrava un posto pieno solo di balletti, di cazzate“, ha raccontato Khaby alla Lucarelli.
Sappiamo addirittura quanto guadagna grazie alle visualizzazioni, adesso. Eppure, non è di questo che c’interessa parlare oggi. Ci piacerebbe soffermarci non sulle cifre che guadagna grazie ai suoi 65 milioni di follower, delle quali si è già abbondantemente dibattuto, quanto piuttosto sulla lezione di vita che Khaby Lame ci ha indirettamente impartito.
Perché Khaby Lame si merita tutto questo successo
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La star di TikTok ci piace perché s’è fatto da solo. Senza agganci, senza sponsor, senza raccomandazioni. Non era nessuno ed è diventato qualcuno anche in assenza di spinte da parte della gente che conta. Perché il web, almeno “lui”, è un ambiente aperto a tutti, digital divide permettendo. Un mondo, purtroppo raro nel suo genere, che permette ad un perfetto sconosciuto di scalare tutte le vette, perfino quelle apparentemente insormontabili.
Ed è bello che, tra le infinite brutture che macchiano i social network, una storia come la sua ci ricordi che le piazze virtuali non sono solo hate speech, bullismo, discriminazioni, sessismo, omofobia e razzismo. Se Khaby è diventato famoso, non lo deve a nessuno. Solo al suo “talento” naturale, alla straordinaria mimica facciale che lo rende così diverso dagli altri aspiranti “comici” che bazzicano sui social. All’idea geniale che gli è balenata per la testa quel giorno in cui ha deciso di aprire un profilo su TikTok e di iniziare a far video per ingannare il tempo.
Anche se lui, come si evince da quel che ha raccontato alla Lucarelli, infinitamente ricco si ci sentiva già prima. “Sono cresciuto nelle case popolari e nonostante quello che molta gente pensa sono belle, io sono felice di essere cresciuto lì, ho avuto tutto. Era pieno di ragazzini come me, ognuno coi suoi problemi, certo, ma eravamo tanti amici in un cortile, in un posto dove non ho mai avuto problemi di razzismo perché eravamo calabresi, siciliani, marocchini, napoletani, albanesi, tutti uguali. Ci siamo sempre aiutati tra di noi, c’è stato un legame speciale”. Ben vengano allora, storie come quella di Khaby Lame. Storie di speranza, di talenti che si fanno da sé e di modelli positivi. Ché troppo pochi, ahinoi, ce ne sono in giro.