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APPROFONDIMENTI

Joshua vs. Ruiz: video, analisi e commento del match

Sabato notte a New York il più forte e accreditato pugile dei pesi massimi in circolazione ha perso contro un messicano semisconosciuto.

Sabato scorso, al Madison Square Garden a New York, il pugile inglese Anthony Joshua, detentore di quattro titoli dei pesi massimi (tre su quattro tra quelli delle maggiori organizzazioni mondiali), ha disputato il suo primo incontro da professionista negli Stati Uniti. Il suo avversario, il messicano Andy Ruiz Jr., è riuscito a batterlo in in sette round contro ogni aspettativa e pronostico condiviso dalla maggior parte degli addetti. È diventato il primo campione dei pesi massimi di origini messicane nella storia del pugilato. Joshua è finito al tappeto quattro volte, prima che l’arbitro decretasse la fine dell’incontro per KO tecnico. La sconfitta del campione del mondo dei pesi massimi era data mediamente a quota 11 (chi avesse puntato sulla vittoria di Ruiz avrebbe vinto undici volte la posta in gioco).

Il clamoroso epilogo del match Joshua-Ruiz, per imprevedibilità e per sbalordimento generato, è stato paragonato da molti commentatori alla vittoria di Buster Douglas contro Mike Tyson nel 1990, considerata ancora oggi una delle più incredibili nella storia del pugilato dei pesi massimi. Molti osservatori e analisti hanno provato a dare una lettura più approfondita del match Joshua-Ruiz. Oltre che sorprendente e largamente inattesa, la sconfitta di Joshua ridefinisce completamente gli attuali equilibri tra i pesi massimi nel pugilato mondiale.

Il match Joshua-Ruiz si può rivedere – integralmente o per highlights – tramite la piattaforma di streaming DAZN. Chi non abbia ancora mai usato il servizio può usufruire di un mese di prova gratis.

Come ci è arrivato Joshua

Joshua è arrivato all’incontro con Ruiz da ventinovenne pugile imbattuto e campione del mondo dei pesi massimi in tre delle quattro corone più importanti – WBA, IBF e WBO – e anche nella IBO (l’altro titolo più autorevole, il titolo WBC, lo detiene Deontay Wilder). L’incontro più recente disputato da Joshua prima di quello contro Ruiz risaliva a settembre scorso. A Londra aveva battuto in sette round per KO tecnico Alexander Povetkin, un pugile russo non giovanissimo (39 anni) ma di lunga esperienza e discreta tecnica. Aveva avuto qualche momento di difficoltà nei primi due round ma era poi riuscito a trovare facilmente le misure. Con tre diretti al volto era riuscito a mandare Povetkin al tappeto una prima volta, al settimo round, e poi un’altra volta prima che l’arbitro dichiarasse concluso il match.

Fino a sabato scorso Anthony Joshua era quasi unanimemente ritenuto il peso massimo più forte in circolazione. Aveva ottenuto questa reputazione principalmente dopo aver battuto nel 2017 l’ucraino Wladimir Klitschko, con ogni probabilità il pugile più potente e completo che abbia mai affrontato. Dopo quel match i (pochi) detrattori di Joshua hanno tuttavia cominciato a contestare al campione del mondo inglese una certa ritrosia ad affrontare pugili davvero forti, tra quelli ben piazzati nel ranking dei pesi massimi delle varie corone. E così forte – secondo molti – non era neppure Jarrell Miller, il pugile che Joshua avrebbe dovuto affrontare sabato scorso a New York. Trovato positivo a un controllo antidoping ad aprile scorso, la sua squalifica aveva lasciato lo staff di Joshua e gli organizzatori dell’incontro nella necessità di trovare un avversario alternativo.

Chi era Andy Ruiz Jr. prima di sabato scorso

Andy Ruiz Jr. è un massiccio pugile statunitense di ventinove anni, alto un metro e ottantotto centimetri, di origini messicane (rivendicate con evidenza e fierezza) e residente a pochi chilometri da Tijuana, nella Bassa California. Fino a sabato scorso era noto soltanto agli appassionati di pugilato, e nemmeno così tanto. BoxRec, il sito che stila le classifiche dei pugili per categorie, aggregando record di vittorie e altri dati rilevanti, lo portava in tredicesima posizione. Ha cominciato a boxare da giovanissimo e, al di là del suo ammirevole record ufficiale (33 vittorie, 22 KO, una sola sconfitta), nel giro era noto per essere uno con una lunghissima gavetta tra i non professionisti. Ha una buona tecnica di base ed eccellenti doti da incassatore, qualità tuttavia messe relativamente poco alla prova nel corso della sua carriera. Il suo incontro più impegnativo era stato quello perso ai punti nel 2016 – con verdetto non unanime – contro il neozelandese Joseph Parker, e quella era stata fino a sabato scorso la sua occasione della vita (Tyson Fury aveva da poco lasciato vacante il titolo WBO, rinunciando alla rivincita contro Klitschko).

Non occorreva quindi studiare le quote dei bookmaker o aver visto tutti i suoi precedenti incontri per ritener Andy Ruiz Jr. un pugile con pochissime possibilità di battere un affermato campione come Joshua. “Bastava giudicare il libro dalla copertina”, scrive il sito sportivo Deadspin alludendo alla scarsa prestanza atletica di Ruiz. Di sicuro c’è che Joshua è stato il suo primo avversario di fama mondiale. Rispetto a lui Ruiz è più basso di dieci centimetri e ha un allungo – la distanza massima che un pugile può coprire con il jab – inferiore di venti centimetri. E la differenza tecnica tra i due pugili non aveva mancato neppure stavolta di generare le consuete polemiche legate alla scelta degli avversari da parte di Joshua. “Anthony Joshua contro Andy Ruiz Jr. non è il match che ci meritiamo”, aveva concluso qualche giorno fa sull’Independent il giornalista sportivo inglese Martin Hines.

Non c’era un solo elemento che potesse lasciar immaginare che Ruiz se la sarebbe giocata alla pari contro Joshua. O forse ce n’era soltanto uno: una formidabile ostinazione.

Cosa ha sbagliato Joshua

Il primo e più evidente tema dell’incontro tra Joshua e Ruiz è emerso fin dai primi secondi del primo round. In sostanza: Ruiz ha guadagnato subito il centro del ring e non lo ha più lasciato. Riducendo molto i movimenti e il dispendio di energie, si è limitato a tenere alta la guardia – secondo uno stile condiviso da molti pugili di “scuola messicana” – per impedire a Joshua di far valere il suo maggiore allungo.

A metà del terzo round l’approccio di Ruiz è sembrato concedere qualche colpo di troppo al suo avversario. Con un una combinazione di colpi – un destro e un gancio sinistro dalla corta distanza – Joshua è riuscito a mandare Ruiz al tappeto: a tutti i cronisti è sembrata la fine del match. Ruiz è invece riuscito a rialzarsi, senza dare segni di particolare frastornamento, e lì è cominciato un altro incontro.

Joshua ha cercato di chiudere il match e ha portato subito a segno un diretto destro potentissimo che non ha non ha smosso Ruiz più di tanto. Proseguendo nell’azione, probabilmente sorpreso dalla resistenza di Ruiz, Joshua si è scoperto moltissimo. Ruiz ne ha approfittato per colpirlo a sua volta con un corto gancio sinistro, e Joshua è finito al tappeto una prima volta.

L’impressione da subito condivisa dagli osservatori è che Ruiz abbia reagito a quel suo atterramento molto meglio di quanto Joshua non si sia ripreso dal suo. Stordito per tutto il resto del terzo round, proprio sul finire della ripresa è stato raggiunto da una violenta serie di colpi di Ruiz. Ed è andato al tappeto una seconda volta: da regolamento l’arbitro Mike Griffin ha iniziato il conteggio, sebbene il round fosse terminato, e Joshua è riuscito a rimettersi in piedi e a raggiungere il suo angolo.

L’incontro è proseguito sulla falsariga delle prime riprese: Ruiz al centro, in pieno controllo della situazione, e Joshua a girargli intorno, totalmente incerto sul da farsi. La svolta è arrivata al settimo round, secondo una dinamica simile a quella del terzo. Joshua ha messo a segno un sinistro molto potente, e credendo che Ruiz avesse “sentito” il colpo ha proseguito l’azione trascurando completamente la difesa. Ruiz, per niente stordito, ha messo a segno una serie di ganci larghi che hanno raggiunto Joshua nella parte delle ossa parietali del cranio, e con un destro al volto lo ha poi steso al tappeto per la terza volta.

Joshua si è subito rimesso in piedi, ancora più rapidamente di prima. Appoggiato al suo angolo ha atteso il conteggio dell’arbitro prima di mostrarsi pronto a riprendere il match, che è durato per pochi altri secondi. Ingannato ancora una volta dall’aver portato a segno un colpo sul volto di Ruiz, Joshua si è scoperto per un’ultima volta ed è stato raggiunto da una combinazione di gancio destro e sinistro che lo ha mandato al tappeto per la quarta e ultima volta della serata.

Joshua è rimasto in ginocchio e ha sputato il paradenti prima di rimettersi in piedi e raggiungere il suo angolo. Il suo obiettivo era probabilmente quello di cercare di guadagnare altri secondi alla fine del conteggio (quelli necessari a rimettergli il paradenti). L’arbitro Mike Griffin ha invece controllato che il pugile reagisse correttamente alle sue indicazioni. Alla richiesta di avvicinarsi verso il centro del ring Joshua è rimasto con le braccia distese sulle corde, e l’arbitro ha decretato la fine dell’incontro.

Al netto dei meriti di Ruiz, la maggior parte degli addetti è d’accordo nel ritenere quello di sabato scorso il peggiore incontro mai disputato da Joshua tra i professionisti. Oltre a non aver trovato quasi mai il modo di superare efficacemente la difesa di Ruiz, Joshua – cercando colpi da ko con irruenza e frettolosità – ha dato all’avversario numerose possibilità di sfruttare a proprio vantaggio la sua più grande e riconosciuta vulnerabilità: l’incapacità di incassare colpi. Da questo punto di vista la preparazione svolta da Joshua non sembra aver migliorato la sua difesa né la sua “intelligenza” tattica, qualità necessarie per rimediare in parte a quelle debolezze che già in passato erano emerse durante quasi tutti i suoi match, persino quelli contro avversari relativamente abbordabili.

E adesso?

La clamorosa vittoria di Andy Ruiz Jr. ha avuto come effetto secondario quello di rendere più caotica e meno scontata l’intera categoria dei massimi. È un bene, dal punto di vista dello spettacolo, ma per alcuni osservatori è anche la conferma della sostanziale mancanza di pesi massimi destinati a entrare nella storia di questo sport. Il britannico Tyson Fury – che a dicembre scorso dopo un lungo periodo di assenza ha pareggiato un incontro attesissimo contro lo statunitense Deontay Wilder – affronterà il tedesco Tom Schwarz, un pugile giovane e ambizioso ma non un fenomeno, il prossimo 15 giugno. In autunno Wilder, campione in carica dei pesi massimi WBC, affronterà il pugile cubano Luis Ortiz, che ha già battuto una volta, a marzo 2018: fu un match meno scontato del previsto, e varrà la pena seguire anche la rivincita.

Quanto al futuro prossimo di Anthony Joshua la migliore ipotesi dal suo punto di vista è che Ruiz accetti un match di rivincita prima del prossimo inverno. Dovesse trascorrere più tempo Ruiz potrebbe a quel punto decidere di difendere i titoli contro un altro pugile, magari uno di quelli che Joshua non ha ancora mai affrontato nonostante le richieste da parte del pubblico e dei media (Deontay Wilder o Tyson Fury, per esempio). A quel punto le quotazioni di Joshua si indebolirebbero, e la sua reputazione potrebbe tornare ai livelli di un tempo soltanto in caso di vittorie contro pesi massimi di alto livello (non quelli che ha affrontato dopo Klitschko, per intenderci).

Questo contenuto è stato modificato 3 Giugno 2019 18:02

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