Il secondo knock-down in Fury-Wilder e il knock-out tecnico in Stevenson-Gvozdyk mostrano quanto possa essere influente e difficile il lavoro di un arbitro nella boxe.
Sabato scorso, qualche ora prima dell’atteso incontro di pugilato tra Tyson Fury e Deontay Wilder a Los Angeles, si è svolto in Quebec un altro incontro valido per il titolo mondiale WBC, nella categoria dei pesi mediomassimi. Il quarantunenne haitiano-canadese Adonis Stevenson, campione in carica, difendeva il titolo contro Oleksandr Gvozdyk, pugile ucraino di trentuno anni.
A trenta secondi dalla fine dell’undicesimo round, con Stevenson in vantaggio ai punti, Gvozdyk è riuscito a colpire l’avversario con una efficace combinazioni di colpi. Stevenson ha cominciato a barcollare ma è riuscito a evitare altri colpi “legando” Gvozdyk, prima che l’arbitro Michael Griffin intervenisse per separare i due pugili. A quel punto Gvozdyk è riuscito a portare almeno altri sei colpi puliti, e Stevenson è caduto al tappeto proprio mentre Griffin decretava la fine dell’incontro per knock-out tecnico.
Nelle fasi successive all’incontro Stevenson ha perso i sensi ed è stato trasportato d’urgenza in ospedale, dove gli è stata diagnosticata un’emorragia cerebrale e si trova tuttora in coma indotto. Le sue condizioni sono state definite critiche e, da qualche ora, stabili.
In un articolo sul New Yorker il giornalista Kelefa Sanneh ha citato l’esempio di Stevenson per stabilire un parallelismo con l’altro incontro di sabato notte, quello molto più atteso tra il campione americano dei pesi massimi WBC Deontay Wilder e il britannico Tyson Fury. Pur avendo vinto ai punti la maggior parte dei round, Tyson Fury è stato atterrato da Wilder due volte, al nono e al dodicesimo round, l’ultimo.
Il secondo knock-down è stato particolarmente violento. Fury è stato colpito in pieno da Wilder con una combinazione di due pugni, ed è finito pesantemente al tappeto, disteso sulla schiena, tanto da far credere alla maggior parte degli spettatori, ai telecronisti e allo stesso Wilder che l’incontro fosse finito. È invece riuscito a rialzarsi prima che l’arbitro contasse fino a dieci ed è stato in grado di riprendere l’incontro, difendersi dalle altre raffiche di Wilder e poi persino di mettere a segno due colpi prima del gong.
L’esito del match, finito in parità, è stato contestato da entrambi i pugili ma in generale, per intensità e spettacolarità, l’incontro è stato largamente apprezzato dal pubblico e dagli addetti. Il lavoro dell’arbitro, Jack Reiss, è stato valutato in modo diverso dai team dei due pugili. Nelle ore scorse, pur lodando la professionalità e serietà di Reiss, Wilder ha segnalato alcune polemiche riguardo al conteggio del secondo knock-down, da alcuni ritenuto un po’ lento o un po’ ritardato rispetto al momento del knock-down.
Fury, al contrario, ha elogiato pubblicamente il lavoro di Jack Reiss, definendolo uno dei migliori arbitri da lui mai incontrati per chiarezza e disponibilità con i pugili. “Prima del match ha detto ‘se uno dei due va al tappeto, gli sarà data la piena possibilità di rimettersi in piedi, e finché mi farà capire che sta bene e che è in grado di continuare l’incontro continuerà’”, ha raccontato Fury in conferenza stampa. L’arbitro, ha riferito Fury, aveva chiarito all’inizio del match che in caso di knock-down avrebbe chiesto al pugile che si fosse rimesso in piedi di rispondere alle sue richieste (“spostati a sinistra”, “spostati a destra”) per avere la certezza che fosse in grado di continuare. Riguardo a come abbia fatto a rimettersi in piedi e proseguire l’incontro Fury ha detto: “onestamente non lo so, ma mi sono dato tutto il tempo possibile per recuperare, perché quando ti mettono al tappeto e sei completamente steso non lo sai nemmeno tu se le gambe reggeranno quando ti rimetterai in piedi, e se ti rimetti in piedi troppo presto le gambe ti lasciano”.
Nel caso di Stevenson contro Gvozdyk l’arbitro Griffin ha dichiarato il knock-out tecnico subito dopo che Stevenson è caduto al tappeto. Le sue gambe hanno retto fino a quel momento nonostante la violenta serie di colpi inflitti da Gvozdyk. Il margine per l’intervento di Griffin era molto ridotto, limitato al tempo in cui il pugile è rimasto in piedi pur barcollando vistosamente.
Secondo il New Yorker, considerando anche che Stevenson era in vantaggio e stava boxando bene, “nemmeno il più cauto degli arbitri avrebbe potuto fermare l’incontro prima di quanto abbia fatto Griffin”. Sanneh sostiene che quanto accaduto a Stevenson sia il genere di cosa che è sempre successa e probabilmente succederà sempre, nella boxe. E conclude:
Parte del brivido del pugilato è la possibilità di vedere un pugile trovare il modo di sopportare l’insopportabile, ma su ogni match aleggia sempre la possibilità che uno dei due pugili di fatto non riuscirà a trovarlo, quel modo: lesioni e decessi sono una parte integrante della storia di questo sport e del suo presente. Quelli di noi che seguono la boxe a volte cercano di razionalizzare questa cosa trovando spiegazioni per le tragedie: magari il match non era alla pari, o magari un pugile era troppo anziano per stare sul ring, o magari l’arbitro avrebbe dovuto fermare l’incontro prima. Eppure chiediamo anche che per il bene dello spettacolo i pugili si assumano maggiori rischi. I combattimenti più “folli” sono spesso i più violenti e a volte i più dannosi.
Questo contenuto è stato modificato 4 Dicembre 2018 12:07
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