Oggi, nella routine del lavoro di tutti i giorni, due redattori del Veggente si sono ritrovati insieme a dialogare su un calcio e un tempo che hanno amato molto, che da ragazzini conoscevano bene e oggi invece molto meno. Questa è la breve conversazione che hanno avuto, in chat. Ai grandi giocatori dei campi di provincia gli ex-adolescenti del Veggente e migliaia di altri appassionati italiani saranno eternamente grati anche solo per il ricordo di cosa è stato il calcio in quegli anni.
F: Hai letto dei diritti tv, che casino? Mo’ dice che Sky ha le partite ma non le prime interviste del dopo partita, e che non potrà più mostrare gli highlights dopo una settimana che si è giocata la partita.
A: Mmm, ma sicuro che poi non cambia ancora tutto tra 15 giorni? Io aspetto un altro po’, poi valuto e vedo se abbonarmi e a cosa.
F: Boh, però almeno ha preso la Liga.
A: Che poi, voglio dire, altro che Liga e Premier e Champions: a me lo spot Sky con i bambini che giocano in cortile è piaciuto un sacco, e fosse per me ci occuperemmo delle serie minori italiane minuto per minuto. Come millenni fa, sai che bello.
F: Eh, se non fosse che le serie di millenni fa – com’erano millenni fa – non esistono più.
A: Appunto. Hai letto il pezzo di Bocca su Marulla, l’attaccante storico del Cosenza? Mi ha fatto venire una nostalgia e una voglia di campi di provincia che forse, a questi livelli, io non ho mai veramente avuto.
F: Sì sì. Bello. È piaciuto molto anche a me. A parte il dolore per certi errori grammaticali, credo refusi.
A: Ah sì? Io l’ho letto che già li avevano corretti, però nei commenti erano rimasti i ditini puntati dei grammar-nazi cagacazzi, l’ho capito da quello.
F: Grande Marulla. Grandi storie d’altri tempi.
A: Altri tempi. Davvero. E guarda, io glielo vorrei pure dire, agli appassionati più giovani che ci seguono e ci leggono, “Voi non sapete cos’era il calcio di quei tempi, la preziosità di una figurina. Evviva il calcio di provincia! Evviva le serie italiane minori! Torniamo tutti a seguire questo universo dimenticato”. Vorrei tanto, davvero.
F: Anche io. Ma di Gigi Marulla non so se ce ne stanno più, sinceramente.
A: Esatto. Se di quella mitologia popolare che erano all’epoca le serie minori italiane non ci resta che lo squallore mostrato oggi dalla DDA di Catania e domani dalla procura di Vattelappesca, allora noi non possiamo fare altro che adeguarci e continuare a parlare di Messi e Ronaldo. C’è davvero poco da fare.
F: Beh sì.
A: Vorrei averlo conosciuto, Marulla. Su YouTube, di tutti ’sti grandi di provincia, circolano interviste di quei tempi che davvero capisci quante cose sono successe nel frattempo. Ma mica al calcio: alle persone proprio. E quanto era rispettata e apprezzata la scelta di rimanere, di rimanere sé stessi, di fare a gara di umiltà invece che di ingaggi.
F: Marulla fa parte di quegli attaccanti della Serie B d’altri tempi, gente tipo Paci della Lucchese, gran coppia con Rastelli, o Federico Giampaolo del Pescara o Totò De Vitis.
A: Protti?
F: Ah vabbè, Protti in A ha vinto i capocannonieri proprio, metterlo tra gli attaccanti storici di Serie B sarebbe riduttivo.
A: Però da lì proveniva, no?
F: Sì sì.
A: Incredibile. E intanto nelle grandi squadre girava gente tipo Paul Ince.
F: La cosa bella è che in Serie B quelli restavano almeno cinque, sei anni nella stessa squadra. C’era un minimo di identificazione, cioè sia per i tifosi di una squadra che per i tifosi avversari. Ora se non segui la Serie B da un anno all’altro non capisci più niente.
A: Era un insieme di cose, credo. Anche una specie di pigrizia virtuosa, “sana”, dei calciatori. Nel senso che oltre ai soldi e basta valutavano tante altre cose: l’integrazione nella città, lo stile e il tenore di vita generali, il rapporto con la tifoseria. Evitare lo sbattimento del trasferimento alla famiglia, ai figli a scuola. E poi boh, non so come spiegarlo, c’era solidarietà sociale, condivisione, l’affetto per strada senza manco lo stress degli autografi, né tantomeno la paura del paparazzo, figurati. Mica era gente distante da inseguire, quella. Ti ci pigliavi il caffè ogni giorno, se andavi allo stesso bar. E il figlio magari era tuo compagno di banco.
F: Vero. Un mondo più umano, più modesto, più piccolo. Messa così, io non so se esista ancora qualcosa del genere in Italia. Quel livello e quel tipo di popolarità di provincia forse no, non credo.
Gigi Marulla, ex calciatore calabrese di Serie B e C, è morto domenica scorsa per un arresto cardiaco a Cosenza, dove ha trascorso gran parte della sua vita e carriera da calciatore professionista (11 stagioni tra il 1982 e il 1997). Aveva 52 anni. È stato uno dei personaggi più seguiti e apprezzati da molti abitanti della città di Cosenza, oltre che da tutti i tifosi della prima squadra di calcio di quella provincia. Il comune ha reso noto che a Marulla sarà intitolato lo stadio comunale della città, il “San Vito”.
La storia di Marulla, come scritto da Fabrizio Bocca in un articolo nel suo blog su Repubblica, è solo una tra le decine di storie di grandi attaccanti di Serie B e di Serie C degli anni Ottanta e Novanta, generalmente del sud Italia, che “una loro Champions League per cui lottare” la trovavano ogni anno, spesso con la maglia della stessa squadra. E spesso non erano finali per salire di categoria bensì “impietose” finali per non scendere.
Lo stesso Marulla raggiunse uno dei suoi momenti di massima popolarità in occasione di uno spareggio tra Cosenza e Salernitana giocato a Pescara in campo “neutro” il 26 giugno 1991: serviva per decidere a quale delle due squadre sarebbe toccato retrocedere in Serie C1. La partita fu trasmessa da Rai 1, e a presentarla come “una sfida impietosa” fu il telecronista sportivo Bruno Pizzul. Dopo lo 0-0 nei tempi regolamentari, Marulla segnò nel primo tempo supplementare il gol che permise al Cosenza – allenato da Edy Reja, da poco subentrato a Gianni Di Marzio – di vincere la partita 1-0 e rimanere in Serie B.
Di quella partita si racconta che Marulla, capitano del Cosenza, abbia preso parte ai festeggiamenti con qualche minuto di ritardo rispetto ai suoi compagni, dopo essere prima andato negli spogliatoi a salutare e confortare i giocatori avversari. Da una bella e insolita intervista, data da Marulla alla fine di quella partita, traspare oggi con una certa evidenza l’umiltà del personaggio, il suo legame con la squadra e il profondo rispetto per gli avversari, probabilmente sostenuto dalla consapevolezza di condividere con loro i medesimi obiettivi.
«Io, sinceramente, se c’è qualche squadra di Serie A ci andrei volentieri perché in Serie A non ci ho mai giocato, e se c’è questa occasione vorrei sfruttarla», disse Marulla alla fine di quell’intervista. Restò a Cosenza altre sei stagioni, e poi altri anni ancora da allenatore della squadra primavera e della prima squadra. Non giocò mai in Serie A. È considerato oggi il calciatore più amato nella storia della squadra di calcio del Cosenza.
Sul giornale online Uscatanzaro.net – periodico locale vicino alla società sportiva del Catanzaro, legato al Cosenza da una delle rivalità sportive più forti e clamorose del sud Italia – sono riportati diversi messaggi di solidarietà e cordoglio da parte della redazione e dei club di tifosi del Catanzaro.
La mia generazione è cresciuta con un altro derby, quello con il Cosenza. E anche se gli incroci non sono stati numerosi, per tutti noi Gigi Marulla era il Cosenza come Massimo Palanca è il Catanzaro. […] Palanca e Marulla, due carriere diverse, due facce dello stesso calcio di provincia. Un calcio fatto di strette di mano, di sudore, di fisici normali, di esultanze contenute, di stadi stracolmi pronti a ruggire ad ogni gol. Gigi Marulla, dietro quel volto segnato dalle rughe e scolpito dal sole del Sud, era un attaccante che sapeva fare tutto e che oggi potrebbe insegnare calcio a tanti ragazzotti pieni di sogni e di tatuaggi. Per questo si era dedicato alla valorizzazione dei giovani, alle scuole calcio e a qualche esperienza in panchina.
La sua morte, improvvisa e prematura, ci colpisce e ci addolora. È una pagina di vecchio calcio che si chiude bruscamente in un torrido pomeriggio calabrese. Per lui, Gigi Marulla, professione attaccante, c’è un posto riservato nell’eternità. Con una maglia rosso-blu, il numero nove e la fascia da capitano stretta al braccio.
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