Da una parte c’è un match point pesante come un macigno che, se non verrà sprecato, potrebbe catapultarli di diritto tra le leggende di questo sport. Dall’altra l’incognita, l’incertezza, la paura di essere beffati un’altra volta ad un passo dalla linea del traguardo. Il quinto anello, giusto e naturale coronamento per una delle dinastie cestistiche più brillanti e innovative di sempre che ha fatto di un sistema semplice ed altruista il proprio credo e che ha saputo ricostruire più volte senza essere costretta a scaricare i propri campioni, potrebbe distare dagli Spurs solamente una manciata di minuti. Quarantotto, per l’esattezza. San Antonio, in gara-3 ed in gara-4, ha impartito due lezioni di basket consecutive ai campioni uscenti degli Heat, per giunta in casa loro, dove nessuno era uscito vivo in questi playoff, e ora non deve far altro che farne sua ancora una per entrare a capofitto nella storia e, chissà, congedare due mostri sacri come Tim Duncan e Manu Ginobili, ammantati di gloria. Gli almanacchi ci narrano che nessuno è mai riuscito a rimontare una serie sotto 3-1. Per giunta nelle Finals, dove la squadra in vantaggio alla fine ha sempre alzato verso il cielo l’aureo trofeo. Miami è come una preda azzannata, ferita, che non aspetta altro che il colpo di grazia ed esalare l’ultimo respiro. In gara-4, i primi inequivocabili sintomi di arrendevolezza: la macchina da guerra messa a punto da Pat Riley nel 2010 ha mostrato il suo ventre molle e l’inevitabile dipendenza dal suo vero ed unico fenomeno, LeBron James. Il Re, 28 punti nonostante l’opprimente Kawhi Leonard – l’uomo che insieme a Boris Diaw ha scombussolato i piani di coach Spoelstra – è stato tradito, i suoi compagni si sono arresi ad uno ad uno, sparendo dalla scena e lasciandolo a combattere da solo. Gli Heat sono crollati 107-86, sotto i colpi di un attacco memorabile, corale come non mai, mortifero come in gara-3, che ha fatto letteralmente saltare la difesa degli avversari. Quando gli Spurs fanno girare la palla così hai poche chances di fermarli. La differenza però l’hanno fatta di nuovo le panchine: una preziosa risorsa quella di San Antonio, poco redditizia quella di Miami.
Perché San Antonio può chiudere i conti già stanotte
I record sono fatti per essere battuti e se hai James in squadra niente è impossibile. Miami è praticamente spacciata, deve vincere tre partite di fila (di cui due fuori casa) per riuscire a difendere il titolo: più o meno come scalare l’Everest senza riserve d’ossigeno. Ma LeBron è quel tipo di giocatore che può farti compiere un’impresa del genere. Il problema è che nelle ultime due partite non è stato assistito a dovere, principalmente dagli altri due senatori, Wade e Bosh – a proposito, in caso di sconfitta stanotte potrebbero aprirsi nuovi scenari davanti ai Big Three – e da una panchina che rispetto allo scorso anno sembra più dannosa che utile (nullo l’apporto dei vari Cole, Chalmers e Battier). Riportare la serie a Miami e poi forzare verso una gara-7 è l’unico obiettivo dei campioni in carica: non gli resta che strafare e provare a non mollare. San Antonio è favoritissima, sarà spinta da un palazzetto stracolmo pronto a festeggiare dopo sette anni dall’ultimo tripudio. Gli Spurs giocano una pallacanestro migliore, vivono uno stato di forma stratosferico e rischierebbero qualcosa solo se si facessero condizionare dalla pressione. Ma il momento della rivincita è vicino. Lo sanno bene gli esperti Duncan, Parker e Ginobili, il cui unico pensiero, da un anno a questa parte, è quello di andare a riprendersi quello che la famosa tripla di Ray Allen gli soffiò, beffardamente, da sotto il naso.
1×2 (5.5 punti) – 1 (1.82, #)
Over 195.5 (1.88 #)
1 (1.40, #)
1×2 1°quarto (2.5 punti) – 2 (3.10, #)
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