L’ennesima eroica prestazione di Chicago in gara 3 non ha sortito gli effetti che si auguravano i tifosi dei Bulls, tre notti fa più scatenati che mai. Gli Heat sono passati (104-94) nell’inferno dello United Center, portandosi in vantaggio 2-1 nella serie e riconquistando il fattore campo. Ma per i campioni in carica non si è trattato di una passeggiata, a differenza di gara 2: i padroni di casa, con soli sette (!) giocatori a disposizione nel roster, l’hanno buttata sull’agonismo e sulla forza fisica più che sulla tecnica, cadendo però nel tranello degli Heat e di Lebron, abilissimi (e non da oggi) quando si tratta di far perdere le staffe agli avversari. Quella che ne è uscita fuori è stata una partita nervosa, non bella da vedere, al punto tale che a tratti sembrava di assistere a uno scontro di wrestling: scene decisamente da rimuovere quelle degli spintoni tra Noah e Andersen, per non parlare del fallo di reazione di Mohammed su James, seguito dall’immediata espulsione del centro ex Thunder. Miami s’è aggiudicata il match solo nel finale, approfittando della stanchezza fisica di Chicago: sono bastate due prodezze del solito LeBron per indirizzare la serie verso la Florida. In gara 4, stanotte, conteranno di nuovo determinazione e volontà. Ma senza Deng e Hinrich (ancora fermi ai box), i Bulls hanno veramente poche chances.
Quando anche il tuo miglior giocatore inizia a dare segni di cedimento significa che le cose si stanno mettendo male. E i Thunder lo stanno sperimentando sulla loro pelle, battuti per la seconda volta consecutiva dai Grizzlies, due notti fa, in gara 3. Kevin Durant, finora assoluto protagonista della postseason di Oklahoma City e unico terminale in attacco dei vicecampioni dopo la defezione di Russell Westbrook, sul parquet del Fedex Forum non è riuscito a produrre come nelle partite precedenti (26 punti con un non esaltante 9-19 dal campo) e per i suoi è arrivata puntale la sconfitta. Contro una difesa tra le più rocciose della lega come quella di Memphis, i compagni di squadra di KD si stanno rivelando inadatti. Tanti, troppi gli errori al tiro dei vari Jackson, Ibaka e Martin, coloro che in teoria avrebbero dovuto colmare l’assenza del numero #0. E pensare che i Grizzlies avevano fatto di tutto per perderla, gara 3: costantemente avanti fino alla metà del quarto quarto, a 1’ 58’’ dalla fine i ragazzi di Hollins (guidati da un Marc Gasol da All Star Game, 20 punti più 9 rimbalzi per il catalano) si fanno raggiungere da una tripla di Fisher che pareggia i conti (81-81). Poi ci penserà il fratellino di Pau a chiuderla, segnando dalla lunetta gli ultimi punti decisivi. Memphis, che ha già stordito l’avversario, stanotte tenterà il colpo del “quasi” ko. Un Durant stratosferico permettendo, non fallirà.