Una vittoria per salvare l’onore. Tirare fuori il famoso “pride”, quell’orgoglio tanto agognato dai tifosi celtici. Con la qualificazione ormai compromessa (i Knicks sono avanti tre a zero nella serie) e le possibilità di passare il turno quasi prossime allo zero, c’è da scommetere che i Celtics stanotte, in gara 4, daranno tutto pur di non subire l’umiliazione dello sweep, per giunta davanti ai propri tifosi e contro un rivale storico. Chiudere la serie con almeno un successo significherebbe tanto per Boston, soprattutto in termini di futuro: in Massachusetts sono in molti a chiedersi cosa faranno in estate Pierce e Garnett, se abbandoneranno o se decideranno di rimanere a lottare (con o senza Rondo?) ancora per un’altra stagione. Qualora New York dovesse chiudere i giochi stanotte, la rifondazione, in casa Celtics, diventerebbe inevitabile.
In casa o fuori, Miami ormai non fa differenza: gli Heat riescono a sfoderare la stessa intensità, a prescindere se si trovino tra la mura amiche o meno. La serie con i Bucks ha confermato in toto tutti i pronostici della vigilia. O quasi: per saperlo bisognerà attendere questa notte, quando in Wisconsin si consumerà con ogni probabilità l’ultimo atto della sfida tra i campioni in carica e Milwaukee. Nonostante lo sforzo collettivo dei Bucks, LeBron e Wade si sono aggiudicati pure gara 3, di nuovo senza grossi patemi d’animo e soprattutto grazie ai 23 punti dalla panchina di un sontuoso Ray Allen. Miami pregusta già le semifinali di Conference e non ha nessuna voglia di ritornare giù in Florida per una gara 5 che sarebbe solamente una perdita di tempo. E di preziose energie.
Se le prime due gare in Texas avevano regalato un po’ di ottimismo ai tifosi dei Lakers, il massacro dello Staples Center in gara 3 se l’è ripreso. E pure con gli interessi. Una San Antonio addirittura più brillante e spietata – con Parker e Duncan sugli scudi – di quanto non lo fosse stata all’At&t Center ha messo (forse definitivamente) ko Los Angeles per 120 a 89, mettendo in evidenza tutti i limiti degli uomini di Mike D’Antoni. Limiti che neanche il miglior Kobe Bryant, nel pieno della forma, avrebbe forse saputo abbattere. I gialloviola si trovano adesso nelle stesse condizioni degli acerrimi nemici dei Celtics: aggiudicarsi gara 4 per evitare il mortificante “cappotto” ad opera degli Spurs. Inutile girarci attorno, con Nash infortunato, serve più di un’impresa. Che gli attuali Lakers non possono permettersi.
Che sarebbe stata la serie più spettacolare e incerta del primo turno, il Veggente ve l’aveva anticipato prima della palla a due di gara 1. A poche ore da gara 4, i giochi sono più aperti che mai: i Warriors, che all’inizio tutti davano per spacciati a causa della pochissima e quasi nulla esperienza nei playoff, si sono portati in vantaggio per 2-1 mettendo alle strette e cogliendo di sorpresa i Nuggets, inizialmente considerati come possibili avversari di Oklahoma/San Antonio in un’ipotetica finale di Conference. Denver, negli ultimi due match, non è mai stata in grado di contenere né Stephen Curry (mattatore assoluto di gara 3 con 29 punti e 11 assist) né le altre giovani promesse di Golden State (Barnes, Thompson), subendo il loro ritmo offensivo. Riuscirci stanotte, davanti ad un pubblico ostile e caloroso come quello dell’arena di Oakland, non sarà affatto facile.